In questi giorni si conclude la minirivoluzione dell’organizzazione comunale voluta dall’Amministrazione.
Il M5S ha definito in precedenza quest’innovazione quale politicamente contraddittoria, si assegnano infatti a dirigenti responsabilità di uffici e posizioni organizzative tali da ricalcare solo parzialmente lo schema delle deleghe assessorili, lasciando quindi i dirigenti a non avere un singolo assessore di riferimento per l’indirizzo di governo. A questo si aggiunge una struttura, uno staff, che si occupa di programmazione, coordinamento e comunicazione esterna frapposto tra la parte politica (Sindaco e Giunta) ed i dirigenti di seconda fascia responsabili delle specifiche aree strategiche del Comune. Insomma sembra la classica funzione di direzione generale possibile solo nei comuni più grandi, quelli con centomila abitanti o più.
Già per questo abbiamo voluto valutare sul piano della legittimità l’attività promossa dalla Giunta e presentata dall’Assessore Gnagnarini.
Intendiamoci, allo stato attuale è previsto solo un ufficio, non un dirigente con tali caratteristiche, quindi ad oggi non c’è violazione di legge, ma ai sensi della riforma della Pubblica Amministrazione come comuni saremo chiamati entro alcuni mesi ad assorbire le figure dirigenziali della Provincia che, in questo caso, secondo noi troverebbero un nuovo ufficio dirigenziale bello pronto ed in grado di mantenere, almeno per qualche tempo, una continuità della programmazione anche in caso di eventuale sconfitta alle elezioni dell’attuale maggioranza.
Ma questo a nostro avviso configura una falsa applicazione di legge, un travisamento della disciplina prevista che potrebbe esporre il Comune a contraccolpi pesanti quali l’impugnabilità degli atti che passano attraverso, appunto, questo nuovo ufficio.
Pertanto, da forza di minoranza, siamo intervenuti in Commissione di Garanzia eccependo questi rilievi pubblicamente, unici, senza il sostegno di parte della minoranza e nell’imbarazzi di maggioranza e sindacati che hanno preferito non intervenire-
All’intervento abbiamo fatto seguire una relazione formale i cui contenuti evidenziano i gravi profili d’illegittimità che questa riforma potrebbe rappresentare, anche come pericoloso precedente.
Qui di seguito l’estratto in sintesi della relazione:
Da una prima lettura del testo della legge di stabilità 2016 emerge quale dato rilevante, in ordine alla proposta di riorganizzazione Gnagnarini, l’elemento di indisponibilità per i posti vacanti in prima e seconda fascia delle posizioni dirigenziali. Nello specifico la città di Orvieto, ai sensi dell’art. 108 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), non ha attualmente diritto di nomina di dirigenti di prima fascia, direttori generali, in quanto tale ufficio è attualmente organo facoltativo dei comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti a far data dal 23 dicembre 2009 (legge 191); precedentemente a tale data la nomina nei comuni con più di 15.000 abitanti di dirigenti di prima fascia era possibile, previa deliberazione della giunta, al di fuori della dotazione organica, con contratto a tempo determinato e su nomina del sindaco. Tale figura, corrisponderebbe alla definizione di “City Manager” che opera provvedendo ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente e sovrintendendone alla gestione, perseguendo livelli ottimali di efficacia ed efficienza.
Essendo il City Manager una figura presente anche nel Comune di Orvieto, nella persona dell’Arch. Rocco Olivadese, giova ricordare la differenza esistente tra qualifica dirigenziale ed incarico dirigenziale: La prima è viene conferita in modo stabile con il contratto individuale di lavoro, a seguito di una procedura concorsuale. L’incarico dirigenziale, invece, riguarda lo specifico ufficio al quale il dirigente è preposto ed è conferito a tempo determinato, con un separato contratto, preceduto da un provvedimento amministrativo; il conferimento è deciso dall’organo politico o dal dirigente di livello superiore (ove presente) con ampia discrezionalità. La qualifica è pertanto un presupposto per il conferimento di incarichi dirigenziali. Occorre aggiungere che norme e pronunciamenti più recenti hanno consentito, seppur entro ristretti limiti numerici, il conferimento di tali incarichi anche a dipendenti della pubblica amministrazione o ad esterni, che siano essi in possesso od anche manchevoli della qualifica dirigenziale.
Il suddetto principio d’indisponibilità per i posti vacanti alla data del 15 ottobre 2015 è stato presentato dal legislatore quale misura in attesa dei decreti attuativi e della sofferta ricollocazione dei dipendenti provinciali. Tale dato del rendere indisponibili i posti vacanti, che significa sostanzialmente impedire che essi siano coperti in qualunque modo o forma, è rilevante in quanto blocca ogni possibile assunzione o conferimento inerenti enti pubblici o strutture organizzative con alcune eccezioni relative, ad esempio, ad enti e strutture che siano state istituiti dopo il 31 dicembre 2011 e per i quali sia già stato avviato da tempo il procedimenti.
Orbene, nell’ambito della salvaguardia del principio di autonomia organizzativa e finanziaria degli Enti Locali costituzionalmente prevista agli artt. 117 co 3° e 119 Cost. Sulla scorta del dato normativo della c.d. Riforma Madia resta fermo il solo obbligo di rimodulare le figure dirigenziali mediante una RICOGNIZIONE dei ruoli esistenti in organico al fine di evitare duplicazioni di ruolo e riordino delle competenze, ma non è prevista alcuna facoltà ( e sarebbe in netta contraddizione il contrario) creare sic et sempliciter “Figure chiave della gestione” una sorta di filtro che di sicuro appesantisce e ritarda dell’azione dei servizi. Non è certo questa la ratio perseguita dalla legge.
Inoltre la legge in tema di ricollocazione del personale delle province introduce dei criteri di procedura di mobilità volontaria semplificata e senza l’assenso dell’ente di provenienza. Nella proposta di riorganizzazione del Piano Gnagnarini si assiste ad un ribaltamento della prospettiva di applicazione che in prospettiva crea una rilevante discriminazione tra il personale già in organico ad Orvieto che non ha beneficiato della possibilità di essere consultato ed ascoltato e chiamato ad esprimere una scelta futura circa il proprio ruolo lavorativo ciò con grave dispersione di professionalità acquisite e sicuramente sul piano motivazione personale. Tanto basterebbe per sollevare osservazioni in merito al rispetto dei principi cardine di buona amministrazione in quanto si ravvisa il concreto rischio di andare incontro a violazioni. In particolare giova riportare l’art. 97 della Costituzione che in merito è estremamente specifico:
«I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. ».
Oggi con tale riforma assistiamo invece alla creazione di quello che potrebbe essere un gravissimo precedente di alterazione di detti principi.